Guinzaglio corto
La crisi di governo viene dopo l’approvazione della risoluzione di maggioranza sul MES. Dietro l’apparente tono interlocutorio della relazione si tratta di una pietra tombale, almeno in questa legislatura, ad ogni utilizzo da parte del governo italiano dei fondi messi a disposizione dal Meccanismo Europeo di Stabilità. La risoluzione vincola l’utilizzo di questi fondi e infatti si legge: “Qualsiasi decisione sul ricorso alla linea di credito sanitaria del MES sia assunta solo a seguito di un preventivo ed apposito dibattito parlamentare e previa presentazione da parte del Governo di un’analisi dei fabbisogni, nonché di un piano dettagliato dell’utilizzo degli eventuali finanziamenti”. In questo parlamento non esiste una maggioranza a favore del MES; la risoluzione inoltre impone agli utilizzatori finali, sanità pubblica ma anche e soprattutto sanità privata, con i centri di potere extraterritoriali che la controllano in gran parte, il controllo pubblico. Infatti contestualmente all’accesso al MES sanitario, il governo dovrebbe presentare alle Camere un piano dettagliato dell’utilizzo dei finanziamenti.
Non a caso i capigruppo di Italia Viva non hanno firmato l’accordo, anche se poi in aula hanno votato a favore. In realtà questo partito si è trovato a svolgere due parti in commedia: da una parte i ministri, con il capodelegazione Teresa Bellanova, allineati sulla posizione del governo, dall’altra i capi dei gruppi parlamentari, allineati sulla posizione del leader Matteo Renzi, impegnati a imporre l’accettazione del MES sanitario o, quanto meno, a vendere a più caro prezzo la rinuncia ad esso.
Vista da questo angolo, la sfiducia di Italia Viva pare più una sfiducia nei confronti dei propri rappresentanti che una vera e propria sfiducia a Conte. Teresa Bellanova e i suoi colleghi pagano probabilmente una certa ingenuità o una certa difficoltà a seguire gli equilibrismi, i voltafaccia e le falsità propinate dal fondatore del partito, con l’unico scopo di arraffare più potere possibile prima che suoni la campanella delle nuove elezioni e la pattuglia di Italia Viva scompaia dal parlamento. Da questo punto di vista e, ripeto, è solo un punto di vista, l’immagine della Bellanova accanto a Renzi nelle consultazioni rimanda a quella dello scolaretto impreparato.
Parla Confindustria
La posizione più volte ribadita da Italia Viva appare sempre più appiattita su quella di Confindustria: anche per quanto riguarda l’utilizzo del MES sanitario, l’associazione dei padroni fa un discorso per i propri associati. Nel suo primo intervento da presidente di Confindustria, Carlo Bonomi aveva affermato che se il governo avesse rinunciato ad utilizzare il MES sanitario ci sarebbe un danno certo per l’Italia, identificando l’Italia con il ristretto cerchio dei privilegiati. In un’audizione alle Camere sul piano nazionale di ripresa e resilienza tenutasi il 29 gennaio, la direttrice generale dell’associazione, Francesca Mariotti, ha chiarito la posizione dei capitalisti, affermando che il documento varato dal governo non risponde alle richieste dell’Unione europea. Se guardiamo il documento inviato alla fine di dicembre da Italia Viva al ministro Gualtieri, contenente le sessantadue considerazioni del partito sulla proposta italiana per il Recovery Plan, possiamo ritrovare gli stessi contenuti avanzati da Confindustria, assieme alla richiesta politica di ridurre il ruolo del governo e del parlamento ad una supervisione generica, affidando poi il tutto ai privati o a non meglio definite forze sociali la gestione operativa dei finanziamenti. È questo il senso delle critiche di Italia Viva, oltre a considerazioni di stile e alla rivendicazione di quanto fatto dai governi PD e soprattutto da Renzi.
La linea tracciata da Mattarella, nell’affidare l’incarico al presidente della Camera Fico, è anch’essa in questo solco: le tre emergenze, sanitaria, sociale ed economica, possono essere fronteggiate solo attraverso l’utilizzo, rapido ed efficace, delle grandi risorse predisposte dall’Unione europea. Il MES sanitario è una di queste risorse: se il Movimento 5 Stelle vuole far parte della maggioranza deve ingoiare il rospo. La vittoria tattica, di essere riusciti a far passare l’accordo di maggioranza in parlamento, si è trasformata quindi in una sconfitta strategica e l’ennesima rinuncia a un punto caratterizzante del proprio programma elettorale.
Anche se i i 5 Stelle alla fine hanno ingoiato il rospo, l’alternativa Draghi è già in atto. Mario Draghi è un nome sicuro per l’Unione europea, per le privatizzazioni, per la grande finanza. Ci sarebbe un cambio di maggioranza perché, a quanto ci dicono gli organi di informazione, un governo Draghi sarà sostenuto da Forza Italia e dalla Lega. Al tavolo di poker del Palazzo, quindi, molti probabilmente vedono con favore Draghi, che spezzerebbe il fronte comune della destra e soprattutto metterebbe in difficoltà la Lega, ponendo probabilmente la parola fine al sogno di divenire il primo partito.
Ancora assistenzialismo per i ricchi
Questo per quanto riguarda gli equilibri politici. Per quanto riguarda le conseguenze, anche in questo caso ci troviamo di fronte a due tendenze e, ovviamente, a varie gradazioni di due estremi. Da una parte chi, come Confindustria, vorrebbe accaparrarsi tutto il bottino, lasciando poi alla mano invisibile del mercato il compito ipotetico di alleviare le miserie conseguenti e risolvendo poi la crisi sociale in termini di ordine pubblico, confinamenti, divieto di sciopero, limitazione alla rappresentanza sindacale. Dall’altra chi vorrebbe utilizzare parte dei finanziamenti per dare alcuni contentini che attenuino le tensioni, sia da parte dei disoccupati, sia da parte di quei commercianti e artigiani danneggiati dal prolungarsi dell’emergenza sanitaria. Quel che è certo è che i finanziamenti europei andranno comunque ad approfondire le distanze sociali, la sperequazione nella distribuzione del reddito monetario.
I contributi già ricevuti dall’Italia sono legati al programma SURE, il programma di supporto per mitigare i rischi di disoccupazione in situazioni di emergenza. L’Italia ha richiesto prestiti per 27,4 miliardi di euro e ne ha già ricevute due tranches, una di 10 e una di 6,7 miliardi. Se dovesse accedere al MES sanitario, l’Italia riceverebbe altri 36 miliardi di euro. Se partirà il piano di ripresa europeo, che non è ancora stato approvato da tutti i parlamenti, l’Italia dovrebbe ricevere altri 222 miliardi, stando a quanto ha scritto il governo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. In parte si tratta di prestiti, in parte si tratta di contributi a fondo perduto; anche i contributi a fondo perduto vanno però pagati, perché l’Unione attingerà alle entrate versate dagli stati membri. L’Italia riceverà qualcosa di più di quanto ha versato, qualcosa però bisogna versare e, a causa delle sperequazioni del sistema fiscale italiano, i versamenti all’Unione europea peseranno di più sui redditi più bassi.
In totale l’Italia dovrebbe ricevere qualcosa come 285 miliardi, se fossero distribuiti in parti eguali fra i circa 60 milioni di residenti toccherebbero 4.750 euro a testa, compreso lattanti e centenari. Il programma di governo ha due scopi: distribuire queste risorse fra le classi privilegiate e fra le varie lobbies, mafie ecc., in maniera proporzionale alla rispettiva forza contrattuale; convincerci che lasciando questi soldi agli industriali, ai banchieri, alle grandi opere, alle spese militari, alla Chiesa, ne avremo un domani molto di più, mentre ora ci tocca pagare i debiti dell’assistenzialismo per ricchi.
Dal MES all’IRAP
Nonostante le promesse dei governi, la sanità continua ad essere poco considerata. Il piano approvato dal governo prevede investimenti per 18 miliardi su 222, quando la crisi pandemica viene considerata la causa della crisi sociale ed economica. Da tener presente che si tratta di contributi per investimenti e non per la spesa corrente, cioè non possono essere utilizzati per pagare gli stipendi e quindi per assumere personale a tempo indeterminato nelle strutture pubbliche. Diverso il discorso per quelle private che, fatturando le prestazioni fornite al servizio pubblico, farebbero aumentare il Prodotto Interno Lordo, il feticcio adorato dai mercati e dai governi. Lo stesso discorso vale per il MES sanitario, che potrebbe mettere a disposizione fino a 36 miliardi, da spendere però in interventi legati all’emergenza sanitaria nel biennio 2020-21. Sarebbe escluso dal MES, ad esempio, oltre le spese per il personale, anche il rinnovo delle apparecchiature ospedaliere nei reparti non legati alla cura della pandemia.
Certo, si potrebbero concentrare tutte le spese per la pandemia a carico del MES e liberare così risorse per altre cose. In modo indiretto, quindi, i soldi del MES potrebbero essere utilizzati per l’abolizione dell’IRAP, realizzando un sogno covato da decenni dalle associazioni padronali. È bene tener presente che l’IRAP ha contribuito per quasi 20 miliardi al Fondo Sanitario Nazionale: una sua abolizione, quindi, aprirebbe una voragine nei conti del Ministero della Salute, voragine che potrebbe essere temporaneamente riempita dall’operazione MES.
Nel 1997 la riforma di Vincenzo Visco trasformò nell’IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) i contributi a carico dei datori di lavoro (allora al 4,25%) e nelle addizionali regionali IRPEF quelli a carico dei lavoratori. L’IRAP assorbì anche tasse e tributi minori. I contributi a carico dei datori di lavoro sono soldi dei lavoratori, come i contributi pensionistici e quelli per l’assicurazione contro gli infortuni. Cancellare l’IRAP significa trasferire quei soldi dei lavoratori nelle tasche dei padroni; quei soldi devono tornare nelle tasche dei lavoratori, devono tornarci tutti, devono tornarci senza contrattazione. In caso contrario, il governo confermerebbe di essere asservito a Confindustria.
Tiziano Antonelli